Halyomorpha halys ovvero la famigerata e temutissima cimice asiatica. Siamo ormai abituati a riconoscere questo insetto, caratterizzato dalle multiple tonalità brune e dalle bande luminose sulle antenne, che da qualche anno affianca la più comune cimice verde, nota per lo sgradevole odore.
Scopriamo di più su questo fastidioso animale.
Cos’è e quali sono le caratteristiche della cimice asiatica?
Originaria della Cina e da un decennio presenza fissa nei frutteti USA, questa sgradita ospite è stata segnalata per la prima volta in Italia nel 2012, nel territorio modenese.
Negli ultimi anni si è diffusa dall’Emilia-Romagna a Veneto, Lombardia, Trentino e Friuli-Venezia Giulia, venendo definita come il nuovo flagello dell’agricoltura del Nord Italia.
Per capire il perché, bisogna avere ben presenti alcuni aspetti che definiscono il comportamento della cimice asiatica:
- nel periodo primaverile-estivo arreca danni a numerose specie vegetali, sia coltivate che spontanee;
- nei mesi freddi sverna in nutrite colonie nelle nostre case o in ripari dove, protetta dal freddo, entra in uno stato di ibernazione;
- gli esemplari adulti possono vivere fino a un anno;
- a ogni generazione la femmina depone in media 250 uova, che in poco più di un mese danno origine a nuovi esemplari adulti.
Tenuto conto di questi elementi, se consideriamo che in un anno le generazioni possono essere anche quattro, è chiaro che siamo davanti a una vera e propria invasione.
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Quali danni provoca sull’agricoltura la cimice asiatica?
La cimice si nutre perforando i frutti. In questo modo crea:
- aree necrotiche sulla superficie esterna;
- marcescenza nella polpa interna;
- caduta precoce del frutto;
- perdita di semi;
- eventuale trasmissione di fitopatogeni che incidendo sia sulla quantità che sulla qualità della produzione agricola.
In frutticoltura, le specie attaccate riguardano mele, pesche, nettarine, susine e ciliegie, albicocche, kiwi e pere. Le perdite possono arrivare anche al 100% del raccolto.
Non sono immuni nemmeno orticole quali zucchine, melanzane, insalata, pomodori e peperoni. Inoltre, sono stati rilevati i primi casi su cereali e persino uva.
La molteplicità di varietà colpite, in regioni ad alta concentrazione di aziende agricole, sta causando danni ingenti per centinaia di milioni di euro. Il sistema produttivo rischia di non riuscire a soddisfare, per quantità e qualità, le richieste del mercato, con rischi anche sociali, poiché l’indotto stabile e stagionale occupa decine di migliaia di persone.
Come si eliminano le cimici asiatiche?
Le difese più comuni, fino a questo momento, risultano essere le trappole a feromoni e le reti a copertura totale dei filari. Queste ultime, sebbene in teoria molto efficaci, oltre a necessitare di grossi investimenti, risentono del fatto che anche pochi esemplari che riescano, accidentalmente, a penetrare possono provocare grossi danni.
Nemmeno la difesa chimica sembra aiutare molto in questa lotta poiché, il fatto che le cimici prediligano la parte inferiore della foglia o le insenature delle piante, rende difficile raggiungerle.
Inoltre, essendo molto mobili, riescono a ricolonizzare un ambiente disinfestato in un breve lasso di tempo.
Ad oggi, la scarsità di nuovi formulati chimici registrati e la sempre più stringente legislazione in materia spingono a testare l’efficacia collaterale di prodotti impiegati contro altri parassiti.
Questa situazione di emergenza rischia, però, di creare un indiscriminato aumento dell’utilizzo di sostanze chimiche causando ulteriori danni per l’ambiente e per l’uomo.
Così facendo, infatti, gli insetti impollinatori, fondamentali per il ciclo vegetativo, trovano ambienti sempre ostili e sono ridotti anche quei pochi predatori in grado di cibarsi della cimice.
Con l’ottica di introdurre predatori specifici, si sta testando l’efficacia della vespa samurai, ovvero il naturale predatore della cimice asiatica.
Ma l’inserimento di questa nuova specie di insetto, in un ambiente già in precario stato di salute, rischia di alterare l’equilibrio tra predatori e prede, senza poter prevedere gli effetti sulle specie autoctone.
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Come risolvere il problema delle cimici asiatiche?
Appare quindi chiaro come la coordinazione di tutti i soggetti coinvolti, dagli agricoltori alle autorità competenti, sia indispensabile.
Cominciare ad arginare il problema è possibile, con interventi mirati:
- effettuando capillari monitoraggi al perimetro degli appezzamenti, zona dove la cimice risiede prima di introdursi nelle colture;
- sviluppando un programma, preciso e completo, di intervento difensivo, sia esso chimico o fisico;
- incentivando la ricerca scientifica, per individuare nuove molecole e metodologie mirate ed efficaci, nel rispetto dell’ambiente e per lo sviluppo dell’agricoltura di precisione.
La vera risorsa per questa inversione di rotta è la scienza. Noi di Nanomnia siamo consapevoli di questa realtà e lavoriamo per far sì che nuove e vecchie molecole siano più efficaci e selettive, applicabili in maniera puntuale solo in zone infestate da insetti o fitopatogeni.
Solo così sarà possibile arrivare a un risparmio di materia prima, al rispetto delle specie utili all’agricoltura e soprattutto all’abbattimento dell’eccesso di prodotti che oggi inquina terreni e falde.
Comments 5
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Molto interessante il vostro progetto….con la vostra tecnologia è possibile utilizzare molecole di vecchia generazione, quindi di sicura efficacia contro la cimice con un ridotto impatto ambientale garantendo l’entomofauna utile?
Grazie del commento.
Una delle caratteristiche della tecnologia di incapsulamento è proprio quella di migliorare molecole di vecchia generazione apportandovi nuove qualità, come la protezione dai raggi UV, la capacità di persistere sulla superficie fogliare oppure di attirare solo una certa tipologia di parassiti senza danneggiare gli impollinatori. Sottolineo poi che la maggiore efficacia ed efficienza permette anche di ridurre le dosi necessarie. Contro la cimice potrebbe quindi essere sicuramente studiato un incapsulamento ad hoc di una molecola della quale è nota l’efficacia. Noi stiamo già lavorando ad un progetto proprio contro questa piaga.
Michele Bovi (CTO, Nanomnia)
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