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Microplastiche: cosa sono e perché sono dannose?

Da scoperta rivoluzionaria a grande problema ecologico, è questo il balzo che ha compiuto la plastica negli anni. Se è fuori discussione la sua utilità in svariate applicazioni, lo è altrettanto la necessità di agire fin da subito per una corretta e salutare gestione dello smaltimento.

Gli effetti non sono solo macroscopici, ma vanno ben in profondità. Negli oceani, nei terreni, fin dentro il nostro organismo, proprio tramite le microplastiche.

Ma partiamo dal principio.

Com’è nata la plastica?

La plastica non è una conquista moderna. 

La sua storia inizia circa 150 anni fa, quando Alexander Parkes brevettò un materiale plastico semisintetico, la celluloide, utilizzato per le primissime scatole. 

Nel tempo, la sua evoluzione e i suoi impieghi sono stati numerosi e rivoluzionari. Dalla comparsa della bakelite agli inizi del ‘900, al nylon, apparso nel ’35 come tessuto per i paracaduti, fino ai più moderni materiali plastici come PET, componente del tessuto “pile” e ancora usato per gli imballaggi delle acque minerali, e PVC che, sintetizzato già nel 1912 e sfruttato in maniera definitiva dal ‘39, trova molteplici impieghi oggi. 

Gli anni ’50-’60 furono segnati dalla fòrmica e dal commerciale “Moplen” che, assieme alle fibre tessili sintetiche, segnarono il “boom economico”. 

Da allora a oggi il panorama plastico si è arricchito di una miriade di “tecnopolimeri”, dalle caratteristiche sempre più sofisticate, che sono andati a riempire nicchie di applicazione, rispondendo alle necessità dei prodotti moderni.

Da plastica a microplastica: come si formano le microplastiche?

A oggi, quasi tutti i manufatti e i prodotti di largo consumo sono, in parte o nella loro totalità, sintetici

Pensiamo ai mobili di casa, agli articoli tecnologici, ma anche alle automobili, ai nostri vestiti, ai cosmetici e agli imballaggi. E ancora, in modo più banale, bicchieri e posate di plastica, che da anni e anni vanno inevitabilmente ad accumularsi nelle discariche.

La plastica, infatti, non è stata pensata per essere degradabile o biodegradabile. Il suo uso quotidiano e l’abbandono in natura producono una lenta frantumazione che dà luogo, appunto, alle microplastiche.  

Cosa sono, quindi, le microplastiche? Particelle di origine plastica, di piccole dimensioni, in particolare comprese tra il millimetro e il nanometro. Non potendo essere riassorbite in modo naturale dall’ambiente, tendono ad accumularsi, portando numerosi effetti sull’ecosistema.

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Quali sono le conseguenze delle microplastiche per l’ambiente e la salute?

Si stima che il 2-5% di tutta la plastica prodotta finisca in fiumi, mari e oceani. La quota definita come microplastica si accumula in pesci e crostacei e, soprattutto, contamina l’acqua. 

Si tratta di circa 8.000 tonnellate di materiale plastico all’anno, una parte delle quali è di dimensione inferiore al millimetro. 

È facile intuire come partendo dalla materia prima ittica e dall’acqua stessa tutta la nostra catena alimentare risenta della presenza massiccia di microplastiche

Alcuni dati dimostrano come nel 15% del cibo ingerito da un individuo siano presenti microplastiche, lasciando all’acqua del rubinetto e a quella confezionata il primato per la maggior concentrazione di microplastiche. 

Ne sono state trovate tracce, però, anche nei più impensabili generi alimentari come birra, sale, zucchero, alcool e miele. 

Molti studi, pubblicati per rendere comprensibile a tutti il peso di tale inquinamento, dimostrano come si possano ingerire fino a 100 frammenti di microplastiche a pasto o 250 frammenti al giorno soltanto bevendo acqua. 

Teniamo presente che in ciò che ingeriamo vanno conteggiate anche le polveri di plastica provenienti da mobili e tessuti. 

Il più esemplificativo e impressionante calcolo stima in 5 grammi a settimana l’ingestione di microplastiche. Un valore equivalente al peso di una carta di credito.

Non ci sono ancora studi completi sulle conseguenze che queste microplastiche possono provocare una volta ingerite e transitate nel nostro intestino. In prima analisi, sembra che a subire gli effetti peggiori sia il nostro sistema immunitario.

Qual è la situazione normativa in tema di microplastiche?

Nel recente passato diversi stati membri dell’Unione Europea hanno legiferato, a livello nazionale, a proposito dell’utilizzo di prodotti a rischio microplastiche. Purtroppo, l’efficacia globale di tali limitazioni è stata smorzata dalla poca coordinazione europea

Di recente, l’agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), valutati alcuni dati scientifici, ha emanato una normativa restrittiva in merito alle microplastiche intenzionalmente aggiunte in qualsiasi tipologia di prodotti. 

Microgranuli, aventi come sottoprodotti microplastiche, sono infatti presenti in prodotti cosmetici ad azione esfoliante e detergente, in detersivi, vernici, prodotti industriali abrasivi e fertilizzanti. 

Quali soluzioni ci sono contro le microplastiche?

Per arginare questa situazione è essenziale, oltre a una responsabile gestione della plastica, evitare quanto più possibile l’introduzione delle microplastiche nell’ambiente.

Come abbiamo appena visto, a livello legislativo ci si sta muovendo. Nel settore agricolo, ad esempio, sono state vietate quelle sostanze utilizzate per incapsulare fertilizzanti e insetticidi, che ne garantiscono un lento rilascio, ma che danno origine a micro-residui non del tutto degradabili. 

Tali linee guida devono trovare sostegno e riscontro nei prodotti. Ciò è possibile solo con un apporto scientifico e tecnologico innovativo.

In questo quadro si inserisce proprio la tecnologia di Nanomnia. Incapsulamento efficace, rilascio controllato dei principi attivi e assenza di sottoprodotti nocivi, sono infatti il risultato dell’uso di polimeri completamente biocompatibili e biodegradabili studiati ad hoc. 

Un approccio innovativo che è già realtà.

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