Dalla Costa Rica all’Europa, all’interno di materiale florovivaistico e piante di caffè. Sembra sia stato proprio questo il viaggio che ha condotto la Xylella fino a noi.
Il primo focolaio, rilevato ormai quasi dieci anni fa, si è manifestato nell’entroterra di Gallipoli. Ma è stato solo l’inizio. Una seconda ondata, nel 2015, ha colpito le coltivazioni in provincia di Lecce e Brindisi. Oggi la Xylella ha raggiunto Fasano e avanza di circa 2 chilometri al mese.
Cos’è la Xylella?
La Xylella o Xylella fastidiosa, per chiamarla con il suo nome scientifico, è un batterio che si propaga all’interno dei vasi linfatici della pianta responsabili dell’approvvigionamento di acqua e sali minerali.
La colonia batterica, creando una densa mucillagine gelatinosa, ostruisce i vasi bloccando il flusso della linfa e causando il disseccamento di una parte o dell’intera chioma fogliare.
Sembra ormai scientificamente acclarato che questo batterio sia il responsabile della CoDiRo (complesso del disseccamento rapido dell’ulivo), piaga che sta colpendo da diversi anni gli ulivi secolari del sud Italia.
Il principale insetto vettore di questo batterio ha il curioso nome di sputacchina, a causa della schiuma che produce e all’interno della quale vive, per proteggersi dall’evaporazione e dall’occhio dei predatori.
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Qual è l’impatto economico della Xylella?
Rinvenuta anche in una quindicina di varietà di piante come mandorlo, ciliegio e oleandro, il principale approdo della Xylella sono gli ulivi. Ed è proprio per gli ulivi che le conseguenze sono spesso disastrose.
Secondo Coldiretti, nel 2018 la produzione di olive è crollata del 73%. Considerando che la Puglia da sola produce più di un terzo dell’olio “made in Italy” e che il territorio si compone di circa 300 mila aziende agricole, 43 oli dop e 4 igp, con un patrimonio di 250 milioni di piante e 380 mila ettari, si intuisce la portata devastante di questo problema.
Dati ancora parziali della campagna 2019/2020 sottolineano, inoltre, come nel leccese la produzione sia diminuita del 90%.
Infine si dovrebbe tenere in considerazione l’indotto costituito da lavoratori stagionali e frantoi, che si trovano di colpo nelle condizioni di non avere più materia prima da lavorare e con la prospettiva di non avviare nemmeno gli impianti.
Di pochi mesi fa, infatti, la notizia che alcuni frantoi salentini sono stati smontati e portati all’estero, in direzione Marocco e Tunisia. Paesi dai quali è aumentata, con una crescita esponenziale, l’importazione di olio sui nostri scaffali, andando a sostituire fino al 60% delle varietà locali presenti.
Qual è la situazione attuale riguardo la Xylella?
Come abbiamo appena evidenziato, la situazione è davvero complicata per la produzione di olio nel nostro Paese.
Purtroppo, mentre ci si è concentrati su confuse idee complottistiche, ricercando preziosi consensi politici tra le comunità locali e puntando il dito contro gli agrofarmaci, proponendo di sostituirli piantando erbe aromatiche, il tempo è passato e il batterio si è diffuso.
Ad aggravare la situazione ha contribuito anche l’operato del legislatore in materia di controlli, espianti e precauzioni, che non ha incoraggiato la ricerca di una reale soluzione contro la Xylella.
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Scienza e Xylella: cosa stabilisce la legge?
Ricordiamo solo gli ultimi decreti adottati dai vari ministri dell’Agricoltura: dal cosiddetto “decreto Martina” del 13 febbraio 2018, al “decreto Centinaio” del 5 ottobre 2018, fino al decreto-legge n. 27 del 29 marzo 2019, scopriamo, purtroppo, che sono tutti volti all’espianto di ulivi e all’uso massiccio di diserbanti e insetticidi, compresi quelli neurotossici, di fatto vietati dall’Unione europea.
I rimedi legiferati si riducono dunque a proporre:
- l’uso massiccio di erbicidi e insetticidi, al fine di contrastare il vettore sputacchina, anche nei mesi di piena fioritura. In questo modo non solo si danneggia la popolazione degli insetti impollinatori, ma si rischia anche di alterare la qualità del prodotto finale. Inoltre, considerando che la superficie agricola coinvolta sarebbe di alcune centinaia di migliaia di ettari, vien da sé che i milioni di ettolitri di prodotti chimici utilizzati andrebbero a inquinare pesantemente terreno e falde acquifere;
- sanzioni pecuniarie per chi si oppone agli espianti, non solo degli ulivi malati ma pure di quelli sani nel raggio di 100 metri da quelli malati, approccio quest’ultimo assolutamente non scientifico. Gli ingenti risarcimenti, legati invece agli espianti, scoraggiano, inoltre, qualsiasi approccio preventivo e precauzionale di natura ambientale.
In definitiva, seguendo queste decisioni di legge, la comunità scientifica non solo non è ascoltata, ma addirittura è osteggiata.
La vera ricerca scientifica, infatti, è limitata e imbrigliata dalla legge stessa (l’art. 6 del decreto Martina, confermato dal decreto Centinaio, dal decreto Emergenze e dalla legge n. 44/2019), la quale dispone il divieto “a chiunque di detenere o movimentare materiale vivo di Xylella fastidiosa o ogni materiale infetto da essa derivato”.
Imponendo così, a chiunque volesse studiarla, di dare preventiva comunicazione al servizio fitosanitario della Regione Puglia, cui gli stessi soggetti sono tenuti a comunicare tempestivamente i risultati scientifici conseguiti “prima di darne diffusione pubblica”.
Oltre alle difficoltà burocratiche, il sottobosco di enti e laboratori, che sembrano avere il monopolio della ricerca, hanno scoraggiato chiunque volesse contribuire in maniera costruttiva alla soluzione.
Ma la peggiore conseguenza è la rassegnazione dell’opinione pubblica al fatto che questa piaga sia inarrestabile. Questo atteggiamento porta proprio alla giustificazione di espianti su larga scala e all’uso indiscriminato di insetticidi e pesticidi, sorvolando invece sulla mancanza di una ramificata e pluralistica ricerca scientifica di base.
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Quali sono le possibili soluzioni contro la Xylella?
Già nel novembre 2015, una ricerca condotta dall’Università di Foggia aveva dimostrato che 120 alberi infetti, trattati con prodotti specifici (concimi, fertilizzanti e bio-stimolanti, ma non insetticidi), erano stati in grado di superare la presenza del batterio e di sopravvivere.
Nel 2016 sono stati piantati i primi ulivi, della varietà leccino, non immuni ma resistenti al batterio, e in questi giorni si è avuto il primo raccolto, con risultati incoraggianti.
Anche noi di Nanomnia abbiamo abbracciato la causa. È così che abbiamo pensato e progettato un approccio multiplo per rinforzare la pianta e allo stesso tempo limitare, se non addirittura debellare, il batterio. Il tutto mediante un metodo integrato di nanotecnologia, prodotti naturali e nuove molecole antibatteriche.
Ci siamo però scontrati con la burocrazia, che limita di fatto la sperimentazione. Restiamo, però, attenti al problema e fiduciosi di trovare nuovi partner seri per comprovare la bontà della nostra idea. La Xylella può di certo essere fermata.
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